(English below)

Una provocazione, per iniziare.
Fotografia, attualmente, significa desiderio di mostrare o di comparire nell’immediato, in tempo reale. Selfie, per intenderci. E non solo. Il nostro è un tempo veloce destinato solamente ad aumentare la velocità di centrifuga. Se qualcuno avvertisse percezioni diverse, più esigenti? Se al “guardare” un singolo istante si desiderasse unire altri sensi, se il pensiero volesse divenire parte di quell’immagine?
Se l’istante divenisse “presenza cosciente”? Il tempo reale sarebbe sufficiente? Davvero sarebbe esclusivamente rappresentazione del “caos”?
Immaginiamo che qualcosa, qualcuno, in qualunque posto, si associ, nella nostra mente, a qualcosa, qualcuno nello stesso posto in istanti diversi o luoghi diversi. Passato, presente e futuro potrebbero fondersi e confondersi. In un Universo ideale addirittura recuperando il concetto di Bellezza che va smarrendosi in questo delirio di incoscienza.
Esiste una funzione, un app, nel mare magnum nozionistico del fotografo intraprendente, che possa assolvere a questo intento? Può, ad esempio, la multiesposizione utilizzata finora raggiungere questo obiettivo? Solitamente quando si cercano risposte si curiosa all’interno del proprio bagaglio culturale. Il mio prevede una passione illogica (non posseggo alcun background scolastico a riguardo) per la fisica quantistica. Questa sconosciuta. Anche se, attualmente, è di moda più che mai.
La fisica classica sostiene che tutta la materia è Energia mentre la fisica quantistica, un’estensione più avanzata della classica, sostiene fra l’altro, avendolo dimostrato, che tutta l’energia è Coscienza (Intelligenza). Il concetto è complessso ma è interessante per me, perché se la fotografia in origine era un’immagine statica ottenuta tramite un processo di registrazione permanente delle interazioni tra luce e materia, selezionate e proiettate attraverso un sistema ottico su una superficie fotosensibile, la sua evoluzione digitale può consentire ora la realizzazione di quella che io definisco Fotografia Quantica, ovvero la rappresentazione di ciò che riteniamo mondo reale attraverso una presa di coscienza multipla. Una sorta di upgrade della multiesposizione, più funzionale e performante.
La visione (perchè di questo si tratta) che viene a crearsi può modificare l’abitudine alla ricerca immediata e continua di un soggetto, che perde in questo caso la propria essenza di protagonista per fondersi e confondersi nella miscellanea finale formata da tempi, luoghi e soggetti diversi.
Non più quindi fotografia costretta e circoscritta all’istante dello scatto ma slegata e suggerita, anche successivamente, dalla sensazione di un istante percepita in un luogo preciso, mescolata a ricordi, progetti, desideri, sogni e fantasie. In pratica, tutto diviene possibile, poiché ogni realtà concepita è possibile in quanto pensata. La tecnologia, in questo caso, supporta la materializzazione di tutti gli stati di coscienza che altresì non potrebbero essere tradotti e condivisi nell’esatto momento in cui vengono a formarsi. Quindi un modo come un altro per trasformare una forma d’arte in un prodotto pret-a-porter? Tutt’altro.
«Siamo andati avanti tanto rapidamente in tutti questi anni che ora dobbiamo sostare un attimo per consentire alle nostre anime di raggiungerci» (indigeni latino-americani). E’ vero. Lo credo. Produrre fotografie quantiche significa utilizzare la tecnologia non per velocizzare un processo ma, al contrario, per ricercare proprio quella sosta, dentro di noi, che porta alla scoperta di emozioni nuove, rallentando così la centrifuga inesorabile di questa nostra quotidianità  che spasmodicamente porta a cercare fuori la soddisfazione alla noia terrificante creata dal vuoto dentro.


Una provocazione, per finire.
Poiché la fisica quantistica ha provato che “tutto ciò che era unito non perde mai la sua connessione con il resto, quindi ne deriva che qualsiasi cambiamento, anche il più piccolo, influenza il tutto”… chissà che non sia proprio una nuova forma d’immagine a riportare l’equilibrio in un contesto caotico creato proprio dalla sovraesposizione di immagini… Non perdendo di vista, mai, che la sovraesposizione appartiene ormai, a qualsiasi forma di linguaggio.

A provocation, to start.
Photography, at present, means the desire to show or to appear immediately, in real time. Selfie, so to speak. And not only. Ours is a fast time destined only to increase the spin speed.
If someone felt different, more demanding perceptions? If at “looking” a single moment one wanted to combine other senses, if thought wanted to become part of that image? If the moment became a “conscious presence”? Would real time be sufficient? Would it really be exclusively a representation of “chaos”?
Imagine that something, someone, anywhere, is associated, in our mind, with something, someone in the same place at different times or different places. Past, present and future may merge and merge. In an ideal Universe even recovering the concept of Beauty that goes astray in this delirium of unconsciousness.
Is there a function, an app, in the notional magnum sea of the enterprising photographer who can fulfill this purpose? Can, for example, the multi-exposure used so far achieve this goal? Usually when searching for answers, they are curious about their cultural baggage. Mine provides an illogical passion (I don’t have any scholastic background to it) for quantum physics. This stranger. Although, currently, it is more fashionable than ever.
Classical physics holds that all matter is Energy while quantum physics, a more advanced extension of the classical, supports among other things, having demonstrated it, that all energy is Consciousness (Intelligence). The concept is complex but interesting for me, because if the photograph was originally a static image obtained through a process of permanent recording of the interactions between light and matter, selected and projected through an optical system on a photosensitive surface, its evolution digital can now allow the realization of what I call Quantum Photography, or the representation of what we consider real world through a multiple awareness. A sort of multi-exposure upgrade, more functional and performing.
The vision (because of this it is) that is created can change the habit to the immediate and continuous search for a subject, who in this case loses his essence as a protagonist to merge and blend into the final miscellany formed by times, places and different subjects.
No longer, therefore, photography forced and circumscribed at the instant of the shot but disconnected and suggested, even later, by the sensation of a moment perceived in a precise place, mixed with memories, projects, desires, dreams and fantasies. In practice, everything becomes possible, because every conceived reality is possible because it is conceived. The technology, in this case, supports the materialization of all states of consciousness that also could not be translated and shared in the exact moment in which they are formed. So a way like any other to transform an art form into a pret-a-porter product? Quite the contrary.
“We have gone so fast in all these years that we now have to pause a moment to allow our souls to reach us” (Latin American natives). It’s true. I believe. Producing quantum photographs means using technology not to speed up a process but, on the contrary, to search for that very stop, inside us, which leads to the discovery of new emotions, thus slowing down the inexorable centrifuge of our everyday life that spasmodically leads us to seek out the satisfaction of the terrifying boredom created by the emptiness inside.


A provocation, to finish.
Since quantum physics has proven that “everything that was united never loses its connection with the rest, so it follows that any change, even the smallest, affects the whole” ... who knows if it is not really a new form of image to restore balance in a chaotic context created precisely by the overexposure of images... Never losing sight of the fact that overexposure now belongs to any form of language.